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Dare spazio all’im-prevedibile

di Emilia de Rienzo

La scuola così com’è oggi si propone e viene vissuta come la scuola del merito, in cui chi lavora, chi si impegna, chi sarà “diligente”, sarà premiato. Bravi quindi quelli che seguono ciò che gli viene insegnato, chi sta al passo col programma, chi, insomma, grazie alla sua intelligenza e volontà riesce a superare ogni test che gli viene proposto.

Questa è la scuola dell’immobilità dove tutto è sempre uguale a se stesso, dove tutto è sempre uguale, ben codificato e documentato. E perché tutto sia più efficiente, si moltiplica la burocrazia che imprigiona menti e cuori, che impedisce e toglie spazio ad ogni altro modo di fare scuola.

In questa scuola non c’è spazio per “l’impossibile”, per quello che “non è ancora”, ma solo per “ciò che è già”.

Dentro queste gabbie rischiano di rimanere imprigionati tutti, anche chi vorrebbe altro. Sembra non esserci più né spazio né tempo per il pensiero, né tanto meno per il pensiero creativo.

Ed anche i nostri bambini e ragazzi rimangono imprigionati dentro le griglie di un sistema che non corrisponde a quello che loro sono nella realtà.

Abbiamo bisogno di un “pensiero ribelle”, di un pensiero che ci aiuti, nonostante tutto, a costruire una scuola dove ogni allievo, ma anche ogni adulto possa prendere coscienza, per dirla col filosofo Alain Badiou, che in tutti “esiste ciò di cui siamo capaci”. La scuola, quindi, deve aiutarci a “costruire la propria vita” partendo “dall’utilizzo delle proprie capacità” e non da abilità standardizzate e uguali per tutti.

E non solo, dobbiamo anche essere consapevoli che “esiste quello di cui ancora non si sa di essere capaci” e lo si scopre proprio imbattendosi con l”imprevedibile”

E’ proprio l’imprevedibile la chiave del nostro cammino, quello che ancora non sappiamo e che potremo capire solo se ci mettiamo in movimento, se cerchiamo e ci accostiamo alla vita di chi è con noi con curiosità ed empatia.

Se tutto, invece, viene già previsto, se non si lascia spazio alla creatività che può nascere solo in un insegnante che si mette in dialogo e in relazione con i suoi alunni, l’imprevedibile non può accadere, non può scoccare la scintilla che apre la mente alla conoscenza, quella vera, quella che genera vita e passione.

Siamo tutti disorientati, ci sentiamo abbandonati da uno Stato che sempre più lascia soli i suoi cittadini facendo il brutto gioco di scoraggiarli e demotivarli.
Eppure anche noi possiamo riscoprire quello che “possiamo essere” e che non “sappiamo ancora di sapere essere”. Possiamo diventare più attivi nel mettere in moto piccoli, ma significativi cambiamenti, ridando senso e significato al nostro lavoro.

E’ il nostro lavoro quotidiano, il dialogo tra noi e i nostri bambino o ragazzi attraverso una cultura che torni ad essere viva e vivificante, che potrà aiutarci a scoprirlo.
Quando entriamo in classe intraprendiamo un viaggio e i nostri studenti devono saperlo per trovare insieme a noi la strada.

Hanno tentato e tentano da sempre di imprigionare la scuola, di fossilizzare il sapere, di abituarci a schedare e ad essere schedati, a testare, a inquadrare, a tracciare linee rette pur sapendo che la vita retta non è. Ma la nostra mente può ribellarsi, può liberarsi da queste gabbie e mettersi in viaggio con la nostra classe, con i nostri studenti. Tutti esploratori alla ricerca di se stessi.

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Questo articolo ha un commento

  1. Paola Pizarro

    Personalmente ritengo che la suola dovrebbe dare degli strumenti per poter affrontare l’imprevedibile, perché sappiamo che fa parte della vita. Quante volte ho sentito (ma l’ho vissuto anche in prima persona) di dover affrontare il mondo del lavoro con un “bagaglio” che serve in parte, il resto è tutto nuovo, tutto da imparare ed esperimentare! Peccato che la sperimentazione non sempre è ben vista o valutata, sebbene sia fonte di ricchezze inestimabile!
    La scuola (come ente formatore) dovrebbe aiutare i nostri figli a pensare invece di “memorizzare” l’informazione. Faccio mie le parole di un Pedagogista colombiano Julian de Zubiria che ritiene che “la scuola dovrebbe insegnare i nostri figli a pensare, comunicare e convivere. ” “Il cervello non deve essere un magazzino dove va catalogata tutt l’informazione bensì un organo pensante!

    Paola

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