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Una giovane lettrice ci scrive…

Gaia B. Pellegrini 5^AL 03/04/2020
Traccia 1.

Lo senti ogni giorno quel trambusto: quel via vai di auto e di camion, quello sghignazzare incessante e acuto
di una comitiva di adolescenti su un lato della strada, il chiacchiericcio di un campanello di anziane fuori il
portone della chiesa, che si aggiornano su come stanno i loro figli lontani o i loro nipoti prediletti, quel
vociare di ragazzini contenti che entrano in un campo da basket pronti per dare il meglio di sé e far sentire i
propri genitori orgogliosi, quella musica che dovrebbe fare da sottofondo alle discussioni tra due fidanzati in
un pub, ma che sovrasta le loro voci.
Poi un giorno ti ritrovi chiuso fuori da tutto questo, o meglio, chiuso dentro casa, lontano da tutto. E ora non
fai che guardare la tv, ascoltare quei telegiornali che ti fanno sentire impotente, di fronte a qualcosa che non
puoi controllare, tu, piccolo e fragile. E provi paura, pensi se i tuoi zii in Inghilterra se la caveranno, se la
regina sopravvivrà a tutto questo, se i tuoi nonni avranno bisogno di una mano, ma dovrai tenerla ad almeno
un metro e mezzo di distanza, se quei cugini nell’America di Trump la passeranno tanto meglio questa
quarantena, se i Paesi in guerra saranno dilaniati anche da questo flagello, se …, se …. Non fai altro che stare
in pensiero, quindi spegni la televisione.
Senti qualcosa? Magari le grida di una madre che inveisce contro i figlio scansafatiche che anche oggi non ha
riordinato la stanza, o le risa della coppia affianco che guarda un film, riuniti dopo tanto tempo a cena. Però
percepisci anche qualcos’altro, accostando l’orecchio fuori alla finestra, o uscendo sul balcone, se sei
fortunato ad averne uno. Il suono di una natura, che non ti era mai parso ti attorniasse, si propaga: il canto
degli uccellini finalmente non minacciati dal suono dei clacson, o dal letale smog delle auto; riesci a captare
perfino il ronzare delle api, che finalmente incontrastate succhiano il polline di quei fiori che non vengono
più strappati da mani nemiche.
Magari ti metti anche steso a guardare il soffitto, sperando di perforarlo e vederci il cielo stellato, dando
libero sfogo a quella fantasia che avevi sempre conservato, in attesa che arrivasse il momento.
I primi giorni magari non ci fai neanche caso, troppo occupato a considerare questa situazione con eccessiva
negatività e ipocondria. Poi capisci che, come diceva la nonna, “è sempre meglio vedere un bicchiere mezzo
pieno, piuttosto che mezzo vuoto”; e inizi a sfruttare questo tempo per capirli, questi silenzi. Per
comprendere l’importanza che possono assumere, se ci si ferma ad ascoltarli. Possono fare paura, è vero.
Dopo tanti giorni il silenzio può diventare assordante, e senti il bisogno di una voce amica; allora sai che se la
tecnologia l’hanno inventata non l’hanno fatto mica solo per mettere mi piace alle foto di qualche attrice che
si gode la quarantena nella sua casa a tre piani a Malibù, ma per metterti in contatto con il mondo, anche
quello a due passi da te.
Impari anche che il silenzio può farti arrivare a te stesso, farti ascoltare dentro, ma che ogni tanto non guasta
il suono della voce, anche se resa metallica da un computer, della tua migliore amica, o del tuo ragazzo che
vive lontano, o perfino del tuo nonno tutto tecnologico che per fortuna ha imparato a rispondere alle
videochiamate l’estate scorsa.
È così che me la vivo un po’ anche io, nonostante abiti con la mia famiglia (che non si può dire sia tanto
silenziosa). Approfitto di alcuni momenti per stare con me, guardare il sole e farmi avvolgere dal suo calore,
affacciarmi e vedere il prato sotto casa, e sentire qual è il rumore dei fili d’erba mossi dal vento, o del battito
delle ali di una farfalla che si è posata sulla pianta di basilico della mamma. Non è forse musica anche
questa?
Del resto viviamo in una società dove hanno perso valore le cose veramente belle. Non è forse questo il
momento adatto per dare le cose, che siamo abituati a vedere nella nostra quotidianità, meno per scontate?
Non sarebbe meraviglioso riscoprire il valore di un fragrante cornetto al bar, preso di solito con tanta fretta

per non perdere il treno delle 8.00? O la bellezza del mare e del sole che cala su di esso, che ormai abbiamo
preso a fotografare soltanto, e non a imprimerlo nella nostra memoria? E la gente che non ha una casa e un
luogo protetto dove stare, e la sera non ha un letto confortevole dove coricarsi, che prima guardavi con
tanto ribrezzo, adesso la consideri con compassione? I musei d’arte che hai sempre trovato troppo noiosi,
adesso non li troveresti incantevoli? Riscoprire il valore della vita e del poco tempo che abbiamo per
sfruttarla al massimo non ti fa trovare il coraggio di dire a chi ami quanto sia importante per te?
Mi chiedo solo questo, in fin dei conti: se questo tempo, questo silenzio, non servano a qualcosa, alla fine.
E si tratta proprio di questo, avere tempo, perché il silenzio non può fare il suo lavoro da solo.
Insomma, la nostra vita frenetica impedisce troppo e dà troppo poco, a parer mio. Approfittare di questo
“spazio senza tempo”, come mi piace definire questa quarantena, che ci è stato possibile ritagliarci attorno,
ci dà adito a rallentare, a tenere il giusto passo, un passo che non corre come siamo abituati a fare da
troppo, che ci ha resi stressati, affaticati, depressi a volte.
È passato quasi un mese, e mi sono sembrati 10 giorni – ad esagerare. Sarà perché penso di aver fatto
fruttare il tempo a mia disposizione: ho letto 5 libri, studiato (a dire il vero, non più di quanto facessi già), sto
imparando la lingua dei segni, mi sono iscritta ad un corso gratuito per imparare anche l’olandese, che mi
affascina da sempre, ho visto film che non vedevo da troppo, o da troppo avevo voglia di guardare, suono e
canto tanto, mi diletto perfino a meditare, fare esercizio e praticare un po’ di yoga appena sveglia – e devo
dire che è un toccasana per il mio umore; altre volte mi sono semplicemente riposata.
È così che me la sono immaginata questa quarantena, sin dal principio: non posso dire di esserci rimasta
troppo male quando ne è stato annunciato l’inizio. Sarà che ne avessi proprio bisogno, di staccare la spina da
tutto, intendo. Ovviamente mi mancano i miei nonni più di tutti, mi commuovo ora solo a pensarci, e il mio
ragazzo, i miei amici, ma trovo che mi stia facendo molto bene. Anzi, proprio perché gli impegni ci hanno
spesso divisi, sento molto di più tramite telefono un’ amica a cui tengo molto, che abita lontano da qui.
A volte mi chiedo se non sia io strana. Ma alla fine forse non mi importa, perché so di fare soprattutto ciò di
cui ho bisogno. Non dovrebbe essere così che forse dovremmo affrontarla tutti questa situazione di
emergenza? È fondamentale fare questo, stare a casa appunto, per gli altri e noi, per la nostra salute e il
bene comune, ma anche per la nostra psicologia, resa piuttosto fragile dai ritmi della “vita normale”.
Credo che sia questa parola, “ritmo”, la chiave, il punto di connessione: il tempo è scandito dai ritmi della
nostra vita, ahimè alquanto frenetica, e perché non approfittare di questo rallentamento del ritmo? Perché
non approfittare di questo silenzio per sentire, invece, il ritmo del nostro cuore?
La trovo una cosa fantastica. Anche se so quanto possa essere difficile, soprattutto per un bambino o ancor
di più un adolescente preso dalla smania di scappare e vedere il mondo (anche io vorrei in fondo, anche se
mi considero un’ adolescente un po’ atipica), con la noia e la stanchezza di questa vita ristretta, sempre alle
calcagna. So quanto per un ragazzo il tempo sia prezioso, quanto si voglia bruciare le tappe, ma ora ciò che
vedi tu di bruciato è proprio questo tempo, che sembra essersi fermato, sull’orologio della cucina che la
mamma adora, anche se non c’entra nulla con l’arredamento. Poi, ammettiamolo, chi riuscirebbe a
sopportare i propri genitori, chiusi in casa, insieme, per così tanti giorni, tra magari un padre nervoso perché
non abituato ad avervi tra i piedi e una madre angosciante e pesante, oltre ad un fratello piccolo
piagnucolone … Però fa parte della sfida, perché di questo di tratta: imparare anche a convivere con persone
con le quali trascorrevi insieme a malapena cinque ore in tutta la giornata (ma chiuso per bene nella tua
camera), fino a poco tempo fa. Oltretutto è un modo per viverli anche, questi tuoi genitori, sforzarsi perfino
di conoscerli meglio, dato che (chissà cosa ne farai del tuo futuro!) sicuramente l’ultimo pensiero sarà
restare a casa con loro per sempre.
Sarà che mi sono sempre sforzata di vedere sempre l’altro volto della medaglia, di considerare anche
“l’altra” verità, “l’altro” punto di vista, di essere positiva; ma voglio sfruttare questo momento per sperare in

un qualcosa di diverso, più attento e più altruista, dove il tempo non è un nemico da sconfiggere e il silenzio
non è un foglio bianco da riempire a tutti i costi; un qualcosa che smuova le masse, che riesca a far ottenere
ad ognuno il proprio equilibrio, che renda noi stessi migliori, così da migliorare poi il mondo di cui facciamo
parte.

Questo articolo ha 2 commenti.

  1. Alessia 3^H

    Inizio col dire che sono felice di essere riuscita a leggere questa lettera. Credo che rispecchi appieno ciò che proviamo un po’ tutti noi, adolescenti e meno: il grande distacco tra la cosiddetta routine normale, quella di sempre, che adesso non abbiamo più. Devo ammettere che, a differenza della ragazza che ha scritto questo testo, il modo in cui sto affrontando questa situazione è abbastanza differente. Certo, ci sono dei momenti in cui metto in gioco me stessa e anch’io, come lei, sto cercando di imparare la lingua dei segni (cosa che ho sempre cercato di fare), ma nonostante ciò il senso di oppressione mi sale ogni qual volta mi ritrovo a pensare a tutto il resto. Mi trovo sempre in pena per tutti coloro che stanno soffrendo come o più di me. Adesso, però, capisco che la natura si sta riprendendo ciò che noi le abbiamo rubato; forse l’uomo non doveva arrivare a questo punto, forse tutto questo poteva accadere in una forma diversa. Ma la sensazione che provo quando mi sveglio col il cinguettio di qualche uccellino mi fa pensare che tutto questo, in fondo, non sia solo una cosa negativa. Riesco a percepire, oltre alla frustrazione dei medici, oltre alla disperazione delle famiglie che hanno perso i loro cari, il senso di solidarietà che colma il nostro popolo. Detto ciò vorrei anche dire che condivido appieno quello che ha scritto; penso che le persone debbano affrontare questa situazione con uno spirito di rivalsa, me in primis. Concludo col dire che sto cercando, e continuerò a farlo, ad affrontare il tutto con più spirito, cercando di trasmettere felicità a me e a tutta la mia famiglia.
    Il sorriso è l’arma che potrebbe aiutarci più di chiunque altra.

  2. Enrica Raffaldoni

    Ho letto il brano della giovane lettrice sulla sua vita al tempo del “coronavirus”. Concordo con le sue affermazioni. Al contrario di lei, però, io esco per andare al lavoro. Esco ogni giorno e percorro uno spazio breve ma piacevole, che mi porta ad osservare un tratto del fiume e delle strade che costeggiano un grande parco cittadino. E noto, ed assorbo, i cambiamenti inaspettati e prorompenti, che questo breve periodo di inattività umana ha regalato alla poca Natura ancora presente nella mia città. Il fiume ha assunto un bel colore verde brillante, ed in alcuni punti è addirittura trasparente, si vede il fondo! Il canto degli uccelli mi accompagna per gran parte del mio cammino. Sento il vento ed il rumore delle foglie. A casa, apro finalmente finestre e balconi sulla strada, dalla quale, soprattutto in certe ore e nei giorni festivi, proviene un gran silenzio. Ma la cosa fantastica è che non si alzano più vapori mefitici di auto, clacson e puzza. Talvolta, urla la sirena di un’ambulanza, e mi rattristo per le persone a bordo, forse vittime di questa epidemia. E subito penso che mi manca l’incontro, il piacere di cogliere, l’attimo con un altro, il bagliore di uno sguardo, un’inflessione nella voce, la vita! E gli incontri, soprattutto con le persone amate. Di tutto questo mi resta il Tempo, che sto passando al meglio, e la Speranza che questa esperienza ci serva per pretendere di vivere con più lentezza e partecipazione, perchè il Tempo è l’unica cosa che abbiamo davvero.

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