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La scuola come luogo per la prevenzione

Da sempre la scuola è all’interno di un processo di cambiamento difficile e complesso, senza riuscire a superare un nodo culturale e cruciale: passare cioè da enunciati teorici avanzati, e dettati dalla normativa, e, in parte, elaborati e condivisi dagli insegnanti, a un profilo professionale che sia conseguente ad una qualità di pensiero, di riflessione, di azioni concrete e coerenti nel percorrere l’esperienza quotidiana dell’attività educativa.
La difficoltà da superare le ambiguità, le ambivalenze, la confusione, le insicurezze, il proprio senso di frustrazione, e di conseguenza l’isolamento e la solitudine, è dato sia da una normativa spezzettata e a volte contraddittoria, sia dal non aver predisposti istituzionalmente gli strumenti di formazione idonei a permettere il processo di cambiamento ma solamente strumenti di controllo, appesantendo così i momenti burocratici, invece di avviare percorsi di crescita, di comprensione, di ricerca, di valorizzazione delle risorse e dell’attenzione dei soggetti implicati.
La scuola è in crisi nei suoi equilibri interni per la complessità dei problemi e delle relazioni che dovrebbe saper gestire e si dibatte tra l’attaccamento a frammenti di vecchi modelli e la non sufficiente interiorizzazione delle nuove e moderne teorie ed esigenze.

tra il sentirsi istituzione e dettare regole e/o essere un servizio organizzato sui bisogni dell’utenza;

La scuola oscilla:

  • tra chiedere e pretendere l’adeguamento a sé e/o porsi in termine di relazione e quindi nella duttilità del reciproco accoglimento, rielaborazione e rimando;
  • tra il porsi in termini individuali e di categoria e/o di collegialità acquisendo la capacità di lavorare in équipe, di sentirsi gruppo nel percepire il proprio percorso professionale e il progetto che si vuole costruire;
  • tra il concepire l’apprendimento come acquisizione di nozioni e/o come ambito attivo e interattivo di costruzione del sapere;
  • tra il giudicare quantitativo dell’informazione acquisita dall’oggetto allievo e/o la valutazione di un percorso di esperienza in cui sono coinvolti tutti i soggetti; sia adulti che bambini.

Queste contraddizioni impediscono alla scuola di porsi come risorsa aperta al territorio, come luogo qualificato di inter-relazioni.
È importante ritrovare il bandolo di questa matassa ormai sempre più ingarbugliata con il coraggio di ricominciare da capo e di mettere al centro la persona e diventare tutti in grado di essere rispettosi dell’intelligenza, della sensibilità e capacità di immaginazione dei bambini per tutto l’arco del loro sviluppo evolutivo, ”qualità preziose per il futuro ma che è difficile riportare in vita una volta che siano state schiacciate dalla trascuratezza e dalla non curanza” (Meltzer).

L’etica della cura esclude il dominio di un sapere su altri perché nega certezze di fronte alle sfide della complessità non ci sono discipline o autorità scientifiche che con un diagramma di flusso ci diranno dove siamo e dove dobbiamo andare. Si deve accettare un diverso stile relazionale fondato sul mutuo sostegno tra differenti risorse nell’ottica della complementarità.
Gli studi confermano sempre di più il concetto che il processo evolutivo non può essere considerato nei termini di un processo continuo e lineare. Esso e un processo complesso in cui si intrecciano costruzione e ”decalage”, stabilità ed instabilità, equilibrio e disequilibrio, integrazione e confitto, in una sorta di ecosistema. Quindi se si intende porsi in un’ottica di benessere, prevenzione e cura sarà necessario non considerare la linea continua di una vita, bensì le tendenze che emergono nel concatenarsi del processo individuale di sviluppo e degli scambi individuo/ambiente.

Un percorso ciclico e non lineare non può non prescindere da una continua riflessione sulle interazioni bambino-adulto. Tale interazione si fonda sulla circolarità della comunicazione: quindi sulla possibilità continua di modificazione dei soggetti della relazione, in un processo di reciproco accoglimento, rielaborazione e rimando.
Tanto più ciò è essenziale nella prima e seconda infanzia.

Si impone, quindi, la concezione di una progettualità interna/esterna alle istituzioni che ha come fulcro la scuola elementare, la scuola materna, il nido, una “scuola” aperta dove sia possibile integrare spazi e figure operative diverse nell’arco dell’intera giornata, che permettano al bambino la sperimentazione di molteplici luoghi di crescita non in contrapposizione né in sovrapposizione.

Una rete di comunicazione interagente nella scuola (bambini, famiglie. insegnanti, direttore e tutti gli operatori scolastici che ruotano intorno al bambino), e contemporaneamente una rete allargata all’esterno inserendo in essa gli altri servizi di cura come i Servizi Socio-Assistenziali e Sanitari e le agenzie del tempo libero ma anche le relazioni informali di aiuto alla persona, considerando il tessuto sociale non solo come destinatario di prestazioni sanitarie e assistenziali, bensì soggetto attivo nella produzione di dispositivi di cura.

Work Discussion -Interlocuzioni e risposte di Germana De Leo    (neuropsichiatria infantile)
ai Seminari di qualificazione al lavoro di rete socio-educativa.