Al momento stai visualizzando L’artista e il suo prodottto

L’artista e il suo prodottto

  • Autore dell'articolo:
  • Categoria dell'articolo:EVENTI

di Elvio Mattalia

Il prodotto artistico esprime principalmente i vissuti che l’artista vuole manifestare o si carica di significati che egli vuole che arrivino a chi guarda? Quando un prodotto può diventare, essere considerato arte?

V.Van Gogh ha detto: “Prima sogno i miei dipinti poi disegno i miei sogni”
Innanzitutto è utile riflettere sulla relazione artista/opera d’arte; da questo punto di vista Maud Mannoni ci viene in aiuto. La psicoanalista afferma che:

Il godimento” è ciò “che nasce tra il vasaio e il suo vaso …”; perché ci sia piacere occorre “che ci sia un “terzo, forse il compratore, in ogni caso un altro”- “che metta il marchio del suo desiderio su questo vaso … È fondamentale che qualcuno lo voglia il suo vaso, che non resti invenduto, altrimenti finisce il godimento che passa sempre attraverso il godimento dell’altro”

(M. Mannoni, Un luogo per vivere,Emme edizioni)

La relazione quindi tra l’artista (ovviamente il discorso è esteso a qualsiasi manufatto o produzione artistica: oltre alla pittura e il disegno anche alla musica, al teatro ecc. ) e il suo prodotto richiede apprezzamento e, per chi fa del suo lavoro d’artista una professione, l’acquisto conseguente del compratore. Certo è ipotizzabile che l’artista si esprima anche solo per il proprio piacere (questa forse è più tipico della dimensione dell’hobby, del tempo libero di chi nell’arte o nel bricolage declina esigenze espressive che il proprio lavoro non consente), ma, in generale, vale quanto è detto ed è evidenziato da Mannoni. Nell’opera d’arte troviamo quindi, con il piacere dell’artista, la sua immaginazione, la sua abilità tecnica, anche la necessità del riconoscimento dell’altro, della valorizzazione di chi guarda … e perché sia possibile vivere di arte, di chi compra l’oggetto prodotto.

Inoltre nell’opera d’arte non c’è solo piacere, immaginazione, abilità tecnica ma anche:

la possibilità di elaborare i propri vissuti, le proprie emozioni (per Tolstoj l’arte è organo di espressione e comunicazione del sentimento al pari del linguaggio che è organo di espressione dei pensieri) in relazione ai propri problemi esistenziali (presa di distanza, tentativo di rappresentarne/coglierne la soluzione), di elaborare le proprie parti negative (per diventarne consapevole, e non agirle distruttivamente verso se stessi e gli altri), al fine di controllare anche la propria aggressività, cercando di sublimarla, investirla, tradurla in “oggetti” che possano contenerne, almeno in parte, la carica energetica, il senso, rappresentandola in modo accettabile, perché questi oggetti possano essere significativi per sé (rappresentativi del conflitto bloccato e sublimato) e per gli altri (comprensione); rispetto a questa problematica, come ci dice B.Bettelheim, soltanto: “Quando le nostre emozioni ci stanno di fronte in una forma tale che ci consenta di capire qual è il loro significato, allora, possiamo liberarcene definitivamente”: (da “L’arte del cinematografo” in La Vienna di Freud, Feltrinelli)

la ricerca dell’interpretazione del suo tempo al fine di offrire al mondo chiavi di lettura dell’ epoca in cui si vive.
In merito è interessante quanto ci dicono C. Mangiarotti, C. Menghi, M. Egge a margine del loro libro sulla psicosi (Invenzione della Psicosi) : capita che “…L’effetto di creazione si sposta dall’opera come prodotto, oggetto d’arte, alla persona dell’artista che non solo si fa anticipatore del suo tempo nell’oltrepassare un limite, ma anche detentore del merito di porre in evidenza ciò che nella società è sofferente. L’artista viene a incarnare sempre più il sintomo della sua epoca, quale punto di sguardo di un’ eccedenza, di un disordine nell’armonia e, nel suo stesso velare tramite l’operazione artistica, toglie il velo sul limite che di volta in volta la società impone, limite mutevole, rivelando con anticipo ciò che a livello sociale si denuncerà o esploderà più tardi”.

F. De Bartolomeis ( in Girare intorno al mondo dell’arte, la Nuova Italia) ci dice inoltre che “…L’arte è attività di ricerca che utilizzando condizioni ed opportunità date, e rispondendo ad esse in modo originale, pone in essere realtà il cui valore supera la sua espressione sensibile e quindi produce un incremento qualitativo di realtà con risultati simbolici.”
E gli interrogativi che si presentano all’artista, come ci dice B. Bettelheim: “sono quelli esistenziali, i più importanti problemi dell’uomo; sono essi il legittimo oggetto dell’arte. Si tratta di domande fondamentali, come “Che cos’è l’uomo?” e “Ha uno scopo la vita?” e “Se sì, qual è il suo scopo?…Dietro ai grandi interrogativi esistenziali, …, si cela sempre un dubbio sul significato della vita. Orbene la grande arte scioglie quel dubbio, e questo è ciò che la rende grande. La mia tesi è che l’arte…debba porre al suo centro il problema di cosa significa essere uomini. Deve affermare, celebrare persino, la condizione umana, esplorare tutti i livelli dell’esistenza, tutti i generi di esperienza e di rapporto umano, sempre nei modi consoni al mezzo che le è proprio. Deve farci percepire in modo più profondo il significato dell’eroismo e anche del delitto; della sessualità e anche della morte ; deve farci capire che cosa significa crescere e scoprire chi siamo, che cosa significa mettersi ala prova attraverso il coraggio e la sofferenza. Deve dirci, nel modo che le è proprio, da dove veniamo, dove siamo arrivati e dove dovremmo arrivare” (da “L’arte del cinematografo” in La Vienna di Freud, Feltrinelli, Milano 1990).
B. Bettelheim afferma che sono interrogativi a cui rispondeva un tempo, completamente, la religione; oggi, la generale diminuzione delle credenze religiose e la loro messa in discussione ha fatto sì che soltanto l’arte (potremmo intendere qui non solo la pittura, la scultura, ovviamente, ma anche la letteratura, il teatro, la musica) resta, in generale, a confrontarsi con questi interrogativi di fondo del genere umano, a portare così ordine, senso nel caos esistenziale in cui potremmo precipitare, a suggerire significati al nostro vivere: “…L’arte conferisce dignità alla nostra vita col mostrarci quanto sia antica la nostra storia e svelandocene il significato, e insieme parlandoci del nostro futuro…” (ibidem, pag. 137).

E in questo “lavoro” di ricerca profonda non possiamo distinguere l’arte popolare dall’arte raffinata per le èlite:

“…Dovunque l’arte è vitale, essa è ugualmente apprezzata dall’uomo della strada e dalla persona più raffinata. Se le commedie greche non fossero piaciute alla maggioranza, il popolo non sarebbe rimasto seduto sulla dura pietra per giornate intere a seguire come incantato le vicende rappresentate sulla scena. Le rievocazioni storiche e le sacre rappresentazioni del Medio Evo, dalle quali si sviluppò il teatro moderno, erano spettacoli popolari, come lo erano i drammi di Shakespeare. Il David di Michelangelo era stato posto nella piazza, il luogo pubblico per eccellenza, a incarnare l’idea di tutti i fiorentini che la tirannide dovesse essere abbattuta; al tempo stesso, in quanto rappresentava il mito di David e Golia, esso rimandava alla visione religiosa del tempo. Tutti quanti ammiravano quella statua, che era contemporaneamente arte popolare e grande arte, solo che a nessuno veniva in mente questa distinzione. Per vivere degnamente, abbiamo bisogno di entrambe le cose: di visioni capaci di elevarci, e di “intrattenimento”….L’intrattenimento non è un di più, è una necessità: più la nostra vita è ripetitiva, più aumenta il nostro tempo libero, maggiore è il bisogno di qualcosa che ci diverta e ci distragga. Ma anche lo svago dovrebbe rappresentare un’affermazione della vita, essere parte della visione che rende la vita degna di essere vissuta. In passato, le grandi occasioni per divertirsi e insieme per affermare il valore dell’uomo e della vita erano le festività religiose, come il giorno del Santo Patrono, oppure il genetliaco del sovrano o le feste che celebravano il passaggio delle stagioni, come Natale o il Calendimaggio. Pertanto lo svago per quanto volgare, manteneva un nesso significativo con ciò che conferisce un senso più profondo all’esistenza umana, e l’arte serviva ad accrescere sia il godimento sia il senso della vita…

Se l’arte non sa parlare a tutti noi, agli uomini comuni e agli uomini di cultura, vuol dire che non riesce a raggiungere quel nucleo di umanità autentica che è a tutti noi comune [queste considerazioni sono estremamente interessanti se le mettiamo in rapporto con l’arte contemporanea che sovente pare comprensibile soltanto a pochi eletti]. L’esistenza di due tipi di arte, una per pochi eletti e una per l’uomo medio, provoca una lacerazione nella società; due distinti tipi di arte intaccano proprio ciò di cui abbiamo bisogno; una concezione che ci unisca l’un l’altro nella condivisione di esperienze che affermino il valore della vita e dell’uomo. Ma ad affermarne il valore non sono certo le immagini fasulle di una vita piacevolmente idilliaca: la vita si celebra meglio con la rappresentazione della ribellione alle ingiustizie, della voglia di lottare, della dignità mantenuta anche nella sconfitta, della grandezza della scoperta di sé e dell’altro… della lotta del bene contro il male”.

A Proposito di “immagini fasulle” può essere importante riflettere su questa poesia di Elias Canetti:

Forte si sente colui che trova le immagini di cui la sua esperienza ha bisogno.
Saranno molte, ma non possono essere troppe, perché la loro funzione consiste proprio nel tenere insieme la realtà che altrimenti si disperderebbe in mille rivoli.
E neanche dovrebbe essere un’unica immagine che fa violenza a chi la possiede, non lo abbandona e gli impedisce di trasformarsi.

Sono molte le immagini di cui abbiamo bisogno, se vogliamo una vita nostra,
e se la troviamo presto, non troppo di noi andrà perduto.
Il Frutto del Fuoco, 1982

Bettelheim, quale esemplificazione del bisogno di riferirci a queste immagini cita film come 2001 Odissea nello spazio, Guerre Stellari che, ad esempio di grandi problematiche in cui potersi rispecchiare : “ …narrano di un progresso che amplificherà i poteri e le esperienze dell’uomo al di là dell’immaginabile, nel medesimo tempo rassicurandoci sul fatto che tale progresso non cancellerà l’umanità e la vita quali le conosciamo. Viene così alleviata una delle grandi angosce dell’uomo la paura che nel futuro non ci sarà posto per noi quali siamo ora e …anche nel futuro più lontano …” la sostanza dell’essere uomo, la sua umanità, che consiste sempre nel confrontare la sua libertà con quella degli altri, la lotta, la ribellione ai soprusi “il problema morale di fondo …rimarrà il medesimo: la lotta del bene contro il male. Passato e futuro sono le dimensioni durature dell’esistenza; il presente non è che un fuggevole attimo. Perciò le visioni del futuro contengono anche il passato; in Guerre Stellari e negli altri film dello stesso filone si combatte intorno ai medesimi problemi che hanno motivato l’uomo nel passato. La comparsa di Yoda nel secondo film della serie, L’impero colpisce ancora, non è casuale. Egli è una reincarnazione dell’orsacchiotto della nostra infanzia, al quale chiedevamo di consolarci; e il cavaliere Jedi è il vecchio saggio o l’animale soccorritore delle fiabe, che riaffiora dal remoto passato a garantirci che sapremo far fronte ai compiti che la vita ci porrà dinnanzi. Ecco dunque che qualunque visione del futuro poggia in realtà su visioni del passato, perché il passato è l’unica cosa che conosciamo con certezza”

Rispetto al significato di cui ci parla Bettelheim, Maria Giorgia Vitale in “Dove forma ed evento si incontrano”  ci dice che: “…l’arte non è altro che un rifacimento della nostra vita e che il “fare dell’arte è un fare del senso”. L’artista cioè, nel dipingere una tela, o nello scolpire una statua, o nello scattare una foto, consente al fruitore di avere una percezione del mondo, un punto di vista differente con un’intensificazione di senso rispetto alla quotidianità che lo circonda”.
Allo stesso modo (in un’intervista a La Repubblica del 8/2/2015) Anselm Kiefer dice: “solo dando forma al mondo riusciamo a regalargli un senso: è a questo che serve l’arte …un senso che non c’è nella Storia, ma solo nelle storie che racconti. Lo creiamo noi …Non un senso definitivo, ma quello necessario per vivere…”

Leggi anche:

La fruizione dell’opera d’arte

Analisi dei principali studi studi sulla Psicologia dell’artista e della creazione artistica (1)

Analisi dei principali studi studi sulla Psicologia dell’artista e della creazione artistica (2)