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La famiglia oggi e la scuola (1)

di Rosa Armocida e Elvio Mattalia

Innanzitutto non una famiglia, ma diverse forme e modi di costituire legami familiari.
Essa, infatti, ha subito trasformazioni radicali dal punto di vista sociologico, culturale e valoriale. Si è diversificata nella sua struttura e nella sua composizione. Negli anni Cinquanta un bambino poteva contare su molti parenti (oltre ai genitori e ai nonni, zii, cugini ecc); oggi al massimo può contare, nelle migliori condizioni, sulla presenza dei nonni. Ci troviamo di fronte a microfamiglie, a famiglie ufficiali, di fatto, ricostruite, allargate, unipersonali...; una varietà notevole ed un tasso di natalità molto basso; strutture, quindi, molto diverse di convivenza familiare dove i confini tradizionali si sono modificati, senza aver ancora raggiunto un nuovo equilibrio e dove, pertanto, possono nascere problemi relazionali e di identificazione soggettiva (pensiamo, ad esempio, ai bambini che transitano da un nucleo familiare all’altro) .
Sul piano delle relazioni interne negli ultimi decenni abbiamo assistito alla messa in discussione della famiglia strutturata sul principio di autorità mentre veniva acquistando sempre più rilievo la ricerca della comprensione delle esigenze di ogni componente familiare, del consenso attraverso il dialogo piuttosto che attraverso l’obbedienza cieca.
Gustavo Pietropolli Charmet ci aiuta a comprenderne le contraddizioni interne, a vederne luci ed ombre.

Egli ci parla del passaggio dalla “famiglia etica”, quella che aveva la funzione di trasmettere valori e norme, alla famiglia “affettiva”, tendente ad essere un contenitore confortante e protettivo, al cui interno vi è maggiore intercambiabilità di ruoli tra padre e madre, maggiore ascolto e rispetto reciproco, maggiore “contrattualità” relazionale. E, tuttavia, essa risente pesantemente del quotidiano “corrotto” dall’attivismo frenetico, dall’investimento lavorativo della donna non più presidio “stabile” dell’educazione dei figli, della crisi del ruolo del padre tradizionale.
Una famiglia molto più democratica al suo interno, ma anche molto più chiusa verso l’esterno, vissuto fortemente come pericoloso, e meno disponibile al confronto e allo scambio.
Tale mancanza di apertura è ancor più problematica quando l’attenzione ai bisogni affettivi dei propri figli e la ricerca della loro felicità diventano una sorta di “ideologia”, quando le convinzioni si radicalizzano, si tende ad evitare ogni frustrazione, a prolungare uno stato di onnipotenza, a negare il dolore e il fallimento proprio e dei figli. La risultante di tutto ciò, ci dice Pietropolli Charmet, può essere duplice: da una parte potremo avere sempre più genitori che sconfinano nell’astensionismo educativo, dall’altra, e di riflesso, il progressivo aumento di bambini ed adolescenti fragili, narcisisticamente autocentrati o inclini alla tristezza quando non alla depressione . Conseguenze queste con le quali ci siamo confrontati sovente durante i nostri anni lavorativi.

FAMIGLIA E SOCIETÀ

Spostiamo ora l’attenzione su alcuni tratti connotativi della società contemporanea, determinanti gli attuali legami familiari.
La nostra epoca, secondo lo psichiatra Giovanni Bollea, «si identifica ad ogni livello nell’individualismo spinto e nell’esagerato protagonismo […], nel denaro come simbolo di potenza» .
Ampliando il discorso, possiamo aggiungere, attingendo alle analisi puntuali e di ampio respiro di Zigmunt Baumann, ed in particolare ai saggi La solitudine del cittadino globale, La società dell’incertezza, che il nostro mondo è un mondo in marcia verso una società globale caratterizzata da “incertezza, insicurezza esistenziale, solitudini”, dove prevalgono la difesa del “particolare”, la paura dell’abbandono, la scomparsa dei legami sociali .
Il sociologo ci offre un quadro dai tratti inquietanti, ma di certo realistici. E allora possiamo dire che anche le famiglie, così come si sono configurate, sono incerte, insicure, sole.
Esse sono oggetto di continui e assillanti richiami consumistici, dettati dalla logica di mercato, (che non risparmia certo i bambini di ogni età, adultizzandoli precocemente); vivono una condizione di separazione e di isolamento, dovuta in parte ai cambiamenti strutturali avvenuti al suo interno, all’assenza di servizi sociali diffusi e accessibili (il costo dei nidi è elevato) ed in parte alle più nefaste conseguenze della crisi economica che il mondo intero sta attraversando. Quanto è accaduto nell’ultimo ventennio nel mondo del lavoro in termini di riduzione di occupati, (conseguente anche allo sviluppo tecnologico, alla delocalizzazione delle imprese, all’imprevedibilità dei mercati finanziari) e di progressiva precarizzazione in nome di una flessibilità, che nella realtà non offre diffuse e durevoli opportunità di impiego, ha contribuito ad alimentare l’attuale clima di incertezza, di instabilità, di paura del futuro.
Le stesse conquiste sociali, di altissimo profilo valoriale sul piano dell’affermazione dei diritti e della convivenza civile (pensiamo ad esempio al referendum sul divorzio), in moltissime situazioni hanno aggiunto difficoltà rilevanti sul piano personale e sociale (per l’infanzia in particolare), offuscando in molte situazioni la pur irrinunciabile affermazione di fondamentali diritti (quanti i bambini “pacco” trasferiti da una casa all’altra, disorientati, spesso usati per scaricare colpe, per rivendicazioni di varia natura!), alimentando in definitiva comportamenti contraddittori.
Lo abbiamo verificato con i tanti genitori incontrati negli anni. Ci siamo trovati, come nel secondo e terzo caso riportati, di fronte a comportamenti difensivi, iperprotettivi, a rigide posizioni, a una sorta di “arroganza genitoriale” (per “ideologia” e/o per paura di svelare i propri limiti) alla negazione del confronto, indispensabile per comprendere le ragioni dell’altro.
Altre volte abbiamo avuto difficoltà ad avviare un dialogo con genitori non in grado di accettare l’insuccesso (il successo ad ogni costo è uno dei miti del nostro vivere contemporaneo) dei loro figli, minimizzando o negando le loro difficoltà, addebitandole all’incomprensione degli insegnanti. Tante sono state le situazioni di totale delega del ruolo normativo alla scuola.

Gli atteggiamenti oscillanti tra permissivismo e punizioni eccessive ci hanno dimostrato quanto fosse difficile per molti di loro porsi nella relazione alla “giusta” distanza: quella distanza asimmetrica che pone il genitore come un modello da imitare, con cui identificarsi o a cui contrapporsi, ma pur sempre un modello certo di riferimento. Non un amico qualsiasi, ma un adulto che offre regole, contenimento, sicurezza; un adulto che sa dire “no” e sostenere il conflitto che ne scaturisce, ma contemporaneamente rende possibile la realizzazione della differenziazione e della costruzione dell’identità .

In altri termini in troppe situazioni, soprattutto in tempi recenti, abbiamo avuto modo di riscontrare che molti genitori si comportano come se non fossero mai diventati adulti; abbiamo rilevato in loro un giovanilismo prolungato, esasperato dai modelli edonistici trasmessi dai media e sicuramente controproducente sul piano dei processi identificatori dei propri figli. Un riscontro lo abbiamo trovato in Bollea quando afferma che

«[…] il permissivismo dei genitori e la penetrante persuasione consumistica della TV hanno contribuito a protrarre il principio di piacere fino all’adolescenza. Ciò è pericoloso, perché lascia libero corso al desiderio di possedere tutto e subito» .

D’altro canto Umberto Galimberti parla di “infantilismo genitoriale”, riferendosi proprio ai danni provocati da oltre vent’anni di televisione commerciale, che hanno per l’appunto “infantilizzato” gli adulti, rendendoli poco autorevoli agli occhi dei loro figli. L’atteggiamento ludico di fronte alla vita per molti, ci dice, è diventata una condizione esistenziale permanente.
Nella nostra epoca, secondo Massimo Recalcati, stiamo assistendo alla “vaporizzazione” del padre: gli adulti non sanno più svolgere una autorevole e responsabile funzione paterna, rappresentare simbolicamente la “legge”, assumersi il peso delle proprie parole e dei propri atti: «Gli adulti sembrano essersi persi nello stesso mare dove si perdono i loro figli senza più alcuna distinzione generazionale» .
Genitori e figli si vestono allo stesso modo, sognano le stesse cose, consumano gli stessi prodotti, parlano quasi la stessa lingua, navigano allo stesso modo nella rete, dove creano molto spesso legami a responsabilità zero.

GENITORI E INSEGNANTI DI FRONTE ALLA CRISI DEL DISCORSO EDUCATIVO

 Potremmo arricchire la descrizione delle difficoltà incontrate nella relazione scuola famiglia, riferendo di incontri tra genitori e insegnanti andati deserti, di rimbalzo di responsabilità, di denunce e di articoli contro l’operato di docenti (a volte anche a ragione, ma scegliendo modalità che hanno esacerbato il conflitto).

Crediamo che non ce ne sia bisogno per avvalorare ulteriormente la tesi dell’esistenza di una profonda crisi del “discorso educativo”; una crisi maturata negli anni, definita da Recalcati in Cosa resta del padre senza precedenti

Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione rimpiazzandolo con l’illusione di carriere rapide e soprattutto economicamente gratificanti. Come può una famiglia dare senso alla rinuncia se tutto fuori sospinge verso il rifiuto di ogni forma di rinuncia?

Essere genitori è, quindi, una missione impossibile? Sicuramente è molto problematico e faticoso.

Per questa ragione aggiungiamo poche altre considerazioni sulle problematiche esistenziali ed identitarie dei genitori.

L’incertezza, l’insicurezza, la paura del futuro, affondano le loro radici nell’ampliamento delle opportunità di vita, delle libertà individuali, nella proliferazione dei modelli di riferimento, che mentre alimentano l’idea che ognuno possa costruire il proprio destino in modo diverso da chi lo ha preceduto, nello stesso tempo, venendo a mancare il senso dell’appar­tenenza (alla famiglia, al gruppo, al partito, alla chiesa…), pur permanendo, peraltro il bisogno di consenso, ricono­scimento, sostegno e rassicurazione, generano ansia, inquietudine, smarrimento, solitudine.

Le generazioni passate (fino agli anni Settanta) non avevano sul proprio ruolo così tanti dubbi come i genitori di oggi. Erano “sintonici” con il sistema culturale (stessi segni e stessi significati) e con il modello educativo che l’istituzione scuola proponeva.

Il genitore, oggi, è prima di tutto insicuro come individuo. Egli deve costruire da “solo” l’idea di come essere genitore quando il modello di “adulto-genitore” cui riferirsi non è stabile, definito in modo chiaro come un tempo e quindi facilmente riproponibile.

Deve riprodurre il modello che ha seguito come figlio o deve divergere da esso? La fatica psichica che deve affrontare è veramente notevole, una fatica che va accolta e compresa dai docenti di ogni ordine scolastico.

Occorre perciò domandarsi come aprirsi al confronto, alla collaborazione, poiché le difficoltà nella relazione non possono essere per intero addebitate alle famiglie, né genericamente alla società in continua trasformazione. Sembrerebbe un’osservazione ovvia, ma essa contempla non poche difficoltà. In merito, possiamo affermare che molti insegnanti, in un certo senso, hanno “subito” i rapidi cambiamenti socio-culturali. Non sono stati capaci di coglierli appieno, non disponendo di un “nuovo” linguaggio per interpretare la realtà in movimento, e di porsi, superando i propri pregiudizi, in modo adeguato ed efficace nei confronti delle famiglie, accogliendole senza giudicare. Per alcuni c’è stato un eccesso di semplificazione e di superficialità, che li ha resi incapaci di esprimere empatia verso situazioni lontane dai loro modelli di riferimento, con il risultato di allontanare chi, se accolto, avrebbe potuto abbandonare o attenuare controproducenti atteggiamenti difensivi, dimo­strando invece disponibilità a comprendere e modificare rigide posizioni. Più volte abbiamo incontrato improduttivi atteggiamenti moralistici in insegnanti spaventati dal veloce crollo dei riferimenti valoriali tradizionali.

Il nostro costante invito era: “Osservare – comprendere – agire”. Pensia­mo, infatti, sia una regola d’oro valida sempre nel gestire i rapporti interper­sonali.

Ebbene, se finora abbiamo descritto le situazioni in cui questa regola è stata disattesa, vogliamo qui ricordare le altre volte, e non poche, in cui è stata rispettata grazie alle tante disponibilità individuali ed al lavoro formativo svolto nei nostri istituti, reiterato negli anni, soprattutto sulle dinamiche relazionali interne alla scuola, da intrattenere con l’esterno e con le famiglie.

In questo modo abbiamo potuto affrontare molte situazioni difficili (bambini incontenibili, senza regole, aggressivi, labili, disattenti, “bulli” e prevaricatori, in fuga in mondi irraggiungibili, abusati) attivando una “rispet­tosa” alleanza con le famiglie.

Moltissime sono state le situazioni positive per reciproca volontà di venirsi incontro: nei contatti diretti insegnanti genitori, nei nostri rapporti come dirigenti, nella presenza attiva e costruttiva dei genitori nei diversi organi collegiali o nella costituzione di Comitati ed Associazioni che, se pur con molta fatica, hanno supportato l’attività didattica con positive iniziative di tipo integrativo e spesso con provvidenziali finanziamenti volti a potenziare l’offerta formativa, aggregando nel contempo genitori refrattari a una partecipazione diretta.

Da Rosa Armocida e Elvio Mattalia, A scuola contromano, Armando Editore