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Tempi (moderni) contemporanei

Tempi moderni contemporanei

Il grande Charlie Chaplin nel 1936 dipinse, nel suo notissimo film “Tempi moderni”, una amara realtà nel mondo del lavoro dell’epoca, figlia della depressione industriale del 1929.

I ritmi disumani imposti dalle necessità produttive avevano finto per annullare l’uomo operaio fino a farlo impazzire; anzi, nella finzione del film egli venne fisicamente risucchiato dagli ingranaggi delle macchine della catena di montaggio, e ne uscì, come si diceva, vivo ma folle.

Ottantacinque anni dopo il film premonitore di Charlot la finzione è divenuta tragica realtà!

Infatti è di questi giorni la tragica notizia di una giovane operaia rimasta uccisa perché – sembra – risucchiata dai micidiali ingranaggi del macchinario presso cui lavorava.

Nulla è cambiato quindi, oppure è cambiato tutto?

Proverei a dare una risposta, alla luce della mia venticinquennale esperienza lavorativa nell’ambito della sicurezza del lavoro, vissuta dal punto di vista datoriale, non sindacale, per poi attualizzare il tutto, in epoca Covid19.

Tra i tantissimi e quotidiani sopralluoghi di verifica sulla corretta applicazione delle norme di sicurezza, nelle svariate attività lavorative che si svolgevano in azienda (capofila allora nelle telecomunicazioni), di due in particolare ho un ricordo importante, per le possibili conseguenze che azioni apparentemente innocue avrebbero potuto comportare per il personale coinvolto.

Ecco la prima: la visita di controllo riguardava un centro tipografico dove era stata installata una macchina denominata “taglierina”, che consisteva in un grande e robusto ripiano sul quale era montata una lama larga più di un metro, protetta da guide e griglie. Questa lama doveva, a comando, abbassarsi e tranciare grandi risme di carta, in formato A2. In pratica una ghigliottina!

Naturalmente era previsto un efficace sistema di sicurezza per evitare che l’addetto, nelle operazioni di carico e sistemazione della risma potesse ferirsi: la lama si azionava soltanto premendo contemporaneamente, con entrambe le mani, due pulsanti ben distanziati tra loro, di modo che fosse impossibile azionare la lama avendo una delle mani libera e quindi scongiurare il rischio di amputazione dell’arto.

La seconda in un contesto diverso: ampio salone con macchine imbustatrici dove confluivano in sincronia buste e bollette che venivano automaticamente richiuse e sigillate. In questo caso l’operatore aveva il compito, sollevando il coperchio trasparente munito di pulsante automatico di blocco del ciclo produttivo, di eliminare le buste che di tanto in tanto si incastravano negli ingranaggi facendo perdere la sincronizzazione del processo e quindi causando errori nella successiva fase di spedizione.

Ebbene, nel primo caso l’operatore aveva incastrato il manico di una scopa in uno dei pulsanti, di modo che la lama potesse essere azionata anche con una sola mano; evidentemente l’operatore aveva immaginato che in tal modo si potesse risparmiare tempo e quindi aumentare la produzione.

Analogamente l’operatrice della macchina imbustatrice aveva disinserito il blocco della macchina con carter di protezione sollevato, potendo quindi infilare la mano e – rapidamente, diceva lei – estrarre la busta incagliata.

In conclusione: in entrambi i casi quello che sembrava un miglioramento di ciclo produttivo in realtà era un notevole aumento del rischio di grave infortunio che avrebbe potuto comportare la perdita di un arto o addirittura alla perdita della vita (rischio di amputazione o coinvolgimento di un arto, con possibile emorragia grave).

Ciò che fu fatto immediatamente, da parte mia, è chiedere ed ottenere il ripristino dei dispositivi di sicurezza e sanzionare innanzi tutto il responsabile del processo produttivo per i mancati controlli e per la presunta – falsa – idea che una maggiore velocità potesse portare ad una maggiore produttività.

Infine informare e formare i lavoratori sul rischio specifico corso.

In questi mesi di pandemia da Covid19 sono molti, se non troppi, i datori di lavoro che anche in presenza di conclamata positività da Covid19 di parte del personale dipendente o addirittura di sé stessi, non solo non sospendono la produzione ma non comunicano neppure il proprio status alle maestranze né agli Organi di Controllo (ASL), di modo che gli operai stessi potrebbero trovarsi da un momento all’altro con una positività da Covid19, rischiando oltremodo per la propria salute e per quella dei propri congiunti.

Come si vede, quindi, in ottantacinque anni sono cambiati contesti produttivi, luoghi, ovviamente persone ma in realtà nulla è cambiato della mentalità di tanti che sono disposti a sacrificare tutto – anche la propria madre!!! – pur di continuare a rincorrere un fatuo profitto.

Ci si potrebbe chiedere quale è – se c’è – la morale della favola?

Se neppure una pandemia rende consapevoli dei rischi le persone che invece dovrebbero tutelare la salute altrui, come si può pensare che tanti nostri giovani, credendosi invulnerabili, si comportino in modo responsabile verso il prossimo?

L’unica speranza può essere riposta nella Scienza e nella efficacia dei vaccini ma anche in questo caso i cosiddetti “no-vax” proliferano…

Geologo dott. Salvatore Candila