Devono essere viste con grande prudenza tutte le tecniche, tutte le metodiche che vengono inventate, pubblicizzate per risolvere i problemi dei bambini.
Esempio: trent’anni fa attuammo i primi servizi di prevenzione nelle scuole e c’era un’equipe che faceva un esame psicodiagnostico a tutti i bambini delle classi prime.
Erano gli anni ‘ 65, in una zona dormitorio di Torino (immigrazione, situazioni difficili ).
I risultati dei test a questa massa di popolazione infantile segnalarono parecchi bambini con patologie o con rischi di patologie grosse. Formammo quindi un sottogruppo di questa equipe che si occupava di psicomotricità, di riabilitazione e, a coordinarlo, avevamo fatto venire anche una pedagogista (Marcella Ciari). Era stato poi attuato un lavoro con gli insegnanti, con i bambini, seguendo varie metodiche per l’apprendimento della lettura e della scrittura. Chi usava il Deva, chi il Fogliarini, chi il globale, ecc.
Avevamo, quindi, offerto un supporto pedagogico alle insegnanti che ci ha permesso di poter osservare classi che avevano seguito metodi diversi. Ad un certo punto, come capogruppo, sono andata a verificare gli esiti di quegli sforzi ( “Cosa vuol dire per un bambino viaggiare lungo la scuola elementare?”).
Abbiamo, inseguito, impostato uno studio longitudinale, cioè si è fatto un “ritesting“, si sono ritestati i bambini in terza e in quinta. Alla fine di questa esperienza ho scoperto che in terza, i bambini che non avevano difficoltà, con qualsiasi metodo fosse stato approcciato il problema della scrittura, avevano imparato a scrivere. Quelli che non avevano imparato a scrivere erano in effetti quelli che ai test avevano presentato delle gravi difficoltà negli assi psicomotorio, di analisi, di sintesi, ecc…
Questo significa che l’apprendimento avviene, fondamentalmente sugli assi naturali, funzionali, perché l’apprendimento rappresenta un patrimonio in costante rielaborazione da parte del soggetto, indipendentemente dallo stimolo ricevuto.
Questa sembra una grande scoperta, ma poi, pensandoci, è la cosa più semplice del mondo.
Pensate ad un bambino con una mamma acculturata, pensate ad una mamma ignorante, che parla solo un dialetto, pensate ad un bambino che nasce in un ambiente deprivato, solo se il bambino ha una distorsione ad alto livello sul piano biologico non impara a parlare, non impara a camminare, non impara a rapportarsi. Altrimenti ogni individuo impara dall’entourage che ha intorno. Che poi noi si voglia, tecnicamente, incrementare queste risorse, va bene. Se crediamo troppo alla tecnica che stiamo usando, non stiamo stimolando, stiamo impedendo che il processo naturale si svolga secondo le capacità del bambino.
Il discorso pedagogico della scelta della scuola attiva (che non si fa più), il discorso dell’apprendimento, ecc…, si comprendono chiaramente a partire da quell’esperienza. Abbiamo bisogno di lasciare al bambino, per poterlo stimolare, molti spazi di compensazione intellettuale, molti spazi di scoperta delle sue strategie. Se non c’è questo non c’è nemmeno un apprendimento corretto.