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La scuola dell’obbligo: un luogo dove imparare a vivere

Di Rosa Armocida

“LA SCUOLA DELL’OBBLIGO: UN LUOGO DOVE INNANZITUTTO INSEGNARE/IMPARARE A VIVERE. IL TEMPO PIENO OGGI.”
Il titolo di questo incontro ha suscitato in modo particolare il nostro interesse, poiché ci consente di riprendere alcuni concetti, per noi fondamentali, che abbiamo sviluppato nel nostro testo “A SCUOLA CONTROMANO”. Approfondimenti psicopedagogici per la scuola di base in tempi difficili”, pubblicato nel maggio dello scorso anno dall’editore Armando.

“LA SCUOLA DELL’OBBLIGO: UN LUOGO DOVE INNANZITUTTO INSEGNARE/IMPARARE A VIVERE. ” .
In primis tradurremmo scuola dell’obbligo in scuola di BASE, così come abbiamo scritto nel testo, intendendo con tale definizione, che la scuola deve essere BASILARE, FONDANTE, ESSENZIALE.
Quest’ultimo aggettivo è per noi imprescindibile perché la scuola assolva al suo compito.
E veniamo quindi a tale compito.
Nel titolo si annuncia che la scuola è luogo dove innanzitutto insegnare/imparare a vivere.
E’ l’avverbio innanzitutto ad assumere particolare rilievo; sta ad indicare che, tra gli obiettivi che l’istituzione scuola si pone, ve ne sono di PRIORITARI e tra questi quello prioritario per eccellenza è appunto insegnare/imparare a vivere.
Il nostro primo capitolo è dedicato al rapporto tra SCUOLA/FAMIGLIA/SOCIETÀ, poiché abbiamo voluto premettere che in ogni epoca, quando si parla di scuola, non si può prescindere da tale triade e dall’influenza che la società esercita su di essa.
Quindi, nel determinarne gli obiettivi e le finalità, occorre partire sempre dal contesto storico/sociale/culturale.
Poniamoci quindi la domanda:  “Cosa significa insegnare/imparare a vivere nella società contemporanea, definita da Edgard Morin galassia della complessità?”.
Vi segnaliamo alcuni contributi che potrete approfondire, se vorrete, attingendo alla bibliografia del nostro testo.
In primo luogo un riferimento va a Zygmunt Baumann e alla sua definizione di società liquida, che corre veloce, che cambia velocemente. Il nostro mondo, egli dice, è in marcia verso una società globale caratterizzata da “insicurezza, incertezza esistenziale, solitudini”, dove prevale la difesa del particolare e la scomparsa dei legami sociali.

Umberto Galimberti ci ricorda che in altre epoche, neppure poi così lontane, l’uomo disponeva di una cosmologia o di una metafisica STABILI, che permettevano di avere IDEE CHIARE E DISTINTE. Nella società attuale, egli dice, i valori di riferimento sono stati erosi dal paradigma tecnico-scientifico. La tecnica non si prefigge di attribuire un SENSO alla vita né di svelare VERITÀ, ma semplicemente ha come scopo quello di funzionare. Allea luce di ciò ogni precedente concetto come quello di natura, storia, politica, individuo, identità…andrebbe ridefinito: una sfida questa per prefigurare un nuovo UMANESIMO.
Una società, quindi, dai legami deboli, dove aumentano gli spazi delle libertà individuali, di per sé tratti positivi, se non fosse che ci si dimostra largamente incapaci di gestirli in modo costruttivo in vista di una società migliore, certo più libera, ma anche più giusta, equa e solidale.

In tale contesto gli adulti, con le dovute eccezioni, non sono più in grado d’essere un modello valido ed autorevole per i giovani. Oggi sta venendo meno quella DISTANZA GENERAZIONALE necessaria per processi di imitazione, identificazione, contrapposizione, ricerca dell’autonomia nella crescita e costruzione dell’identità personale.
Varrebbe la pena, a tale riguardo, approfondire quanto dicono autori come Giovanni Bollea o come Umberto Galimberti rispetto all’odierno diffuso “infantilismo genitoriale”, alla società centrata sul consumismo, sull’edonismo, sulla protrazione del principio del piacere fino all’adolescenza inoltrata.
Se allora tutto questo è un possibile scenario di riferimento, ridomandiamoci cosa significa insegnare/imparare a vivere.

Fermo restando che i due termini, insegnare e imparare, sono due facce della stessa medaglia, li analizzeremo separatamente solo per esigenza di chiarezza.
Solo un accenno al fatto che un insegnante INSEGNA solo se IMPARA dal suo alunno; se impara a conoscerlo a recepire ciò che egli sa (si diceva un tempo che i bambini sono differentemente competenti) a modificare le sue proposte in base ai reali bisogni dei suoi alunni, alle diverse strategie cognitive, ai differenti vissuti emotivi.

Quindi, per alcuni versi, si è insegnante e alunno allo stesso tempo; nella relazione insegnante allievo si apprende l’uno dall’altro.
Noi pensiamo che insegnare a vivere significhi guidare i bambini e i ragazzi a costruire la propria IDENTITA’ (è uno dei bisogni fondamentali indicati nel nostro testo insieme al bisogno di buone relazioni, di conoscere e di conoscere le conoscenze).
Compito arduo alla luce di quanto detto sul contesto socio/culturale.
Proprio perché la società cambia così rapidamente, perché i modelli identificativi evolvono anch’essi, perché i limiti dei comportamenti si spostano e si distanziano…è difficile costruire identità “stabili”.

Oggi è necessario aiutare i nostri giovani a riconoscere i loro tratti caratterizzanti, il NOCCIOLO DURO che dà loro distinzione e unicità, e, allo stesso tempo, aiutarli ad adattarsi ai rapidi cambiamenti senza smarrire il loro VERO SE’. Significa, perciò, aiutarli a scoprire i propri TALENTI, a costruire una positiva immagine di se stessi.
Le conoscenze, i saperi, quelli formalizzati nelle diverse discipline, devono contribuire a ciò. Delle conoscenze l’uomo ha bisogno come del pane, poiché esse rappresentano la REALTÀ o se vogliamo VERITÀ in continua evoluzione, gli altri esseri umani, il mondo esterno messo in ordine, codificato in sistemi simbolici. Nel conoscere tale mondo, definiamo ciò che è importante per noi, ciò che è in sintonia con il nostro profondo modo di essere, ciò che ci dà piacere pur nello sforzo di conseguirlo.

Insegnare a vivere è quindi favorire l’ascolto di se stessi, dell’altro da sé, l’acquisizione di conoscenze ma anche l’apertura alla continua ricerca di nuove risposte ai problemi che la vita pone. Significa formare un pensiero che sia convergente, divergente e creativo allo stesso tempo, costruire una personalità dove, secondo Bruno Bettelheim, EMOZIONE INTELLETTO IMMAGINAZIONE si sostengono vicendevolmente. In altre parole si tratta di promuovere la SALUTE MENTALE dei propri alunni. Nel libro scriviamo:” … “star bene con se stessi” vuol dire essere divergenti, reperire soluzioni ai problemi e di conseguenza strutturare un io più equilibrato che non si esaurisce e limita nelle forme espressive dominanti, veicolate dai media, ma che si esprime mediante una molteplicità di interessi e di attività personali.”

Quanto detto vale ovviamente anche per l’adulto/insegnante se vuole, come deve, porsi come adulto colto, competente, aperto al nuovo, guida autorevole dei propri alunni.
Sull’altro versante, IMPARARE a vivere, essenzialmente significa trovare il SIGNIFICATO e il SENSO delle proprie esperienze, dell’esserci nel mondo.

Dice Carla Rinaldi:” …l’apprendimento non avviene solo attraverso la trasmissione o per riproduzione, ma si configura piuttosto come un processo di costruzione delle ragioni, dei perché, dei significati, del senso delle cose, degli altri, della natura, degli accomodamenti, della realtà, della vita…”
Si tratta di una faticosa e insostituibile ricerca, come dice Bruno Bettelheim ne Il mondo incantato: “Se speriamo di vivere non semplicemente di momento in momento ma realmente coscienti della nostra esistenza, la necessità più forte e l’impresa più difficile per noi consistono nel trovare un significato alla nostra vita…”

In tale modo il futuro adulto potrà affrontare la complessità del vivere quotidiano, avere uno sguardo desiderante, ma non distratto dalla molteplicità delle “offerte” di status e di beni, capace di scelte personali, aperto al futuro non vissuto pessimisticamente come avviene nella fase attuale. Significa essere MOTIVATI e APPASSIONATI.
Esattamente come dovrebbero essere gli insegnanti di oggi, i quali dovrebbero riscoprire il significato e il senso del loro lavoro, non lasciarsi sopraffare dal pessimismo, che sembra dilagare e offuscare, appunto, i possibili ORIZZONTI di SENSO. A tal fine uscire dalla SOLITUDINE, potenziare il CONFRONTO e la COLLEGIALITA’ diventano strumenti fondamentali.

In sintesi, ricongiungendo i due termini, insegnare/ imparare a vivere significa costruire una BUONA VITA.
Dice Bruno Bettelheim, riprendendo alcuni concetti fondamentali di Freud:”…“una “buona” vita nella concezione di Freud, sarebbe quella che trovasse il suo significato in relazioni durevoli, tali da recare sostegno e conforto a coloro che amiamo, e nella soddisfazione prodotta nel saperci impegnati in un’opera che può aiutare noi e gli altri ad avere una vita migliore. Una “buona” vita non nega né le nostre reali e spesso dolorose difficoltà né gli aspetti più oscuri della nostra psiche, essa è piuttosto una vita in cui le avversità non riescono a sprofondarci nella disperazione e i nostri oscuri impulsi non sono autorizzati a trascinarci nella loro caotica e spesso distruttiva orbita”.

Per concludere questa parte del discorso vogliamo brevemente riportare alcune condizioni indispensabili perché si possa realizzare quanto il titolo si prefigura.
Innanzitutto, oltre a quanto abbiamo già detto, gli insegnanti devono trovare PIACERE nel proprio lavoro. In altri termini insegnare deve piacere. E a tale riguardo invitiamo a vedere il film francese “Una volta nella via” nelle sale cinematografiche in questi giorni.

Inoltre, gli atteggiamenti che a nostro avviso devono essere assunti nella relazione educativa riguardano: l’ascolto, l’accettazione e la tolleranza, il porsi alla giusta distanza, l’osservazione attenta, la conoscenza e l’amore per i propri alunni, la promozione dell’autonomia, il dire no quando serve. Deve l’insegnante definire ciò che è ESSENZIALE in termini di contenuti, obiettivi, attività; le proposte didattiche non devono perdere di vista la priorità dell’insegnare/imparare a vivere.

Tutto può essere “attraente”, ma poche cose sono davvero fondanti e formative. Bisogna imparare a scegliere, definire che cosa insegnare, come, ma anche perché insegnare proprio quello e non altro. Occorre ripensare sempre al significato e al senso di ogni proposta.
Oggi si parla sempre più di competenze, ma queste vanno oltre le capacità, le abilità, l’apprendimento di nozioni immagazzinate spesso nella memoria a breve termine; sono soprattutto modalità di pensiero spendibili, perché acquisite in modo stabile, in diversi contesti. (Ricordiamo, a proposito, le otto competenze per la società del millennio proposte dall’ONU nel 2000 nel Vertice del Millennio, che sono elencate nella bibliografia del nostro libro.)

Diventa allora fondamentale la variabile tempo. Occorrono, infatti, tempi giusti, quelli necessari per programmare il proprio lavoro, quelli per osservare e conoscere i propri alunni e quelli sufficientemente distesi per insegnare/imparare in modo significativo.
Tutto ciò chiama in causa la questione annosa dell’orario di lavoro del personale docente: un orario per gli insegnanti a “tempo pieno” in ambito scolastico, come altri dipendenti pubblici, comporterebbe, oggi, in tempo di crisi economica, un aumento salariale purtroppo improponibile per quanto necessario.
Una questione di non poco conto.
Noi ritorniamo al compito assegnatoci per parlare dell’orario scolastico secondo il modello del “tempo pieno” con la riflessione che segue.

Incontro del 24 febbraio 2016 – Collegno, circolo didattico Calvino
(La tematica di questo intervento ci è stata proposta  dal Collegio Docenti)